Ogni anno arriva. Puntuale come le punture di zanzara in agosto e le dichiarazioni di Gigi D'Alessio su quanto ami Napoli. Il 25 aprile ci ricorda che, una volta tanto, l'Italia ha detto no. No al fascismo. No al nazismo. No all'oscurità. Ma oggi, chi governa questo paese, a quel "no" sembra voler rispondere con un "ni". O un "mah"....
“Ma che coincidenza!”: il 25 Aprile e il governo che inciampa sulla memoria
di Nicola Accordino

Ogni anno arriva. Puntuale come le punture di zanzara in agosto e le dichiarazioni di Gigi D'Alessio su quanto ami Napoli. Il 25 aprile ci ricorda che, una volta tanto, l'Italia ha detto no. No al fascismo. No al nazismo. No all'oscurità. Ma oggi, chi governa questo paese, a quel "no" sembra voler rispondere con un "ni". O un "mah". O peggio ancora: con un silenzio decoroso… molto decoroso. Tipo mutismo selettivo da trauma storico non elaborato.
Partiamo dalla punta dell'iceberg: Giorgia Meloni. Presidente del Consiglio, ex militante del Fronte della Gioventù, formazione giovanile del MSI, e oggi volto rassicurante della destra istituzionale. Rassicurante per chi, esattamente? Non si sa. Di certo non per chi ha letto la sua lettera sul Corriere della Sera in cui, il 25 aprile 2023, si guardava bene dal pronunciare la parola "antifascismo". Ha detto che la destra è incompatibile con la nostalgia del fascismo. Bene. Ma se uno dice "non sono nostalgico" e intanto si fa le vacanze a Predappio, qualcosa non torna. "Rifiutiamo tutti i totalitarismi", dice. Comodo, no? Metti Stalin vicino a Mussolini, e ti levi l'imbarazzo di dire che uno dei due è morto in Italia tra le braccia di molti conniventi. Applausi.
Intanto, Ignazio La Russa – Presidente del Senato, mica bidello della Camera – ci racconta la sua collezione personale: busti del Duce in salotto, una specie di feticismo d'arredamento nostalgico. Ma l'apice l'ha raggiunto quando ha dichiarato che i militari nazisti uccisi in via Rasella erano "una banda di musicisti pensionati". Tipo la Banda Bassotti, ma con l'uniforme delle SS. Minimizziamo pure l'orrore, che tanto chi vuoi che se lo ricordi?
E poi c'è l'epopea delle assenze. Quando arriva il 25 aprile, la Premier improvvisamente ha viaggi "improrogabili". Tipo nel 2023, quando se ne andò in Polonia. Qualcuno direbbe fuga strategica, altri "casualità". Tipo quando – chissà come – la morte del Papa ha portato a un lutto nazionale esteso da 3 a 5 giorni, includendo magicamente proprio il 25 aprile. Un lutto papale a copertura politica. Se non è miracolo questo.
E non scordiamoci gli altri. Come Galeazzo Bignami, che tempo fa si fece immortalare in costume da ufficiale nazista, e ora è sottosegretario. O come il giovane rampollo meloniano Fabio Pietrella, che definì l'antifascismo una "categoria dello spirito" (tipo lo yoga, ma con più manganelli). E che dire di Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera, che auspicava di "riequilibrare" la narrazione del fascismo. Riequilibrare. Come dire: facciamo che una puntata di SuperQuark sia dedicata ai treni in orario.
Nel frattempo, la Presidente del Consiglio trova il tempo di commemorare le foibe, con tanto di retorica patriottarda, ma poi su ciò che è accaduto prima e ha reso necessaria la Resistenza – l'alleanza con Hitler, le leggi razziali, la guerra coloniale, la soppressione di ogni libertà – lì l'agenda è sempre piena. O misteriosamente vuota. Il paradosso? È che Meloni e compagnia sembrano voler commemorare solo la parte della storia che serve alla loro narrazione. È come se guardassero un film partendo dal terzo atto, ignorando chi ha scritto la sceneggiatura e chi ha pagato con la vita per farla andare in scena.
E mentre in Parlamento c'è chi applaude Orban e cita il modello ungherese come se fosse un esempio virtuoso di gestione democratica (cioè, la libertà di stampa in Ungheria è una barzelletta che manco Crozza), Giorgia Meloni va a braccetto con Donald Trump, il signore delle fake news e delle foto coi Vichinghi in Campidoglio. L'amicizia con i big dell'ultradestra mondiale non è un inciampo: è un programma politico. Quello di riportare l'Italia a una "sovranità" che sa tanto di restaurazione.
La verità è che l'antifascismo, per questa destra, è una parola scomoda. Troppo divisiva, dicono. Come dire che la libertà è divisiva perché a qualcuno manca la dittatura. Ma la Costituzione italiana è antifascista, il 25 aprile è antifascista, e chi oggi siede al potere dovrebbe avere il coraggio – o l'onestà intellettuale – di riconoscerlo.
Invece no. Si preferisce glissare, sfumare, relativizzare. Ma noi no. Noi lo ricordiamo. E ogni anno lo diremo più forte, con la voce dei partigiani, dei deportati, dei perseguitati. E pure con un po' di ironia, che non guasta. Perché ridere di certi nostalgici è il modo più elegante per mostrargli quanto siano rimasti indietro.
Buon 25 aprile. Che sia davvero una festa della Liberazione. Anche dalla retorica vuota di chi gioca a confondere la memoria con la propaganda.
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