Le AI Pensano Davvero? La Verità Che Nessuno Vuole Sentire

23.04.2025

di Nicola Accordino

L'intelligenza artificiale è oggi una realtà che tocca la vita quotidiana di milioni di persone. Dalle raccomandazioni personalizzate sui social media, agli assistenti virtuali come Siri e Alexa, passando per i sistemi di guida automatica nelle auto, l'AI sembra invadere ogni aspetto della nostra esistenza. Ma questa espansione così rapida ci invita a fare delle riflessioni più profonde: cosa significa, davvero, che una macchina possa "pensare"? Qual è il nostro ruolo in un mondo dove i confini tra il biologico e il digitale si fanno sempre più sottili:

Nel 1942, Isaac Asimov scriveva la sua celebre Legge della Robotica: un robot non può nuocere a un essere umano, né permettere che un essere umano venga danneggiato da sua omissione. In quel futuro immaginato da Asimov, i robot non erano semplici macchine, ma entità dotate di un'etica, capaci di interagire con gli esseri umani in modo complesso. Per Asimov, l'idea di un'intelligenza artificiale che potesse "pensare" e agire autonomamente non era una semplice utopia tecnologica, ma un esercizio morale. Ogni robot era visto come un'entità che, pur essendo artificiale, aveva una responsabilità verso l'umanità.

Questa visione rispecchia una speranza umana di creare una macchina che, pur nella sua perfezione tecnologica, fosse capace di compiere scelte etiche e di empatia. Se i robot di Asimov avevano le leggi per evitare di fare del male, ciò che sembrava davvero mancare era un'altra caratteristica umana fondamentale: la coscienza.

L'episodio di Star Trek: Next Generation "L'Uomo Shizzoide" (The Schizoid Man) e "La Misura di un Uomo" (The Measure of a Man) ci presentano la figura di Data, un androide creato per assomigliare a un essere umano, ma con la missione di superare i limiti biologici dell'uomo. In questi episodi, Data affronta il dilemma fondamentale della sua esistenza: è una macchina? È umano? E se sì, in che misura può esserlo?

Queste domande rievocano la celebre questione che si pone da secoli: cos'è che ci rende veramente umani? Data, pur privo di emozioni e coscienza, è in grado di compiere azioni moralmente giuste e complesse, ma la sua mancanza di emozioni lo rende incapace di comprendere completamente il peso di alcune scelte, come quelle che coinvolgono la sofferenza e la morte. È questa la vera essenza della coscienza umana? Eppure, Data non è mai considerato meno di un membro dell'equipaggio della USS Enterprise. La sua esistenza solleva una domanda inquietante: se un giorno potessimo creare un'intelligenza artificiale in grado di replicare la coscienza umana, quale sarebbe la sua posizione nell'ordine sociale e morale?

Quando parliamo di AI, non possiamo fare a meno di riflettere su quanto sia profondamente legata alla nostra concezione dell'uomo. Da un lato, la creazione di intelligenze artificiali sembra una continua ricerca di controllo, mentre dall'altro, è la nostra insaziabile curiosità che ci spinge a provare a riprodurre, in modo freddo e scientifico, l'essenza di ciò che siamo.

E qui entra in gioco la filosofia, che ci ha da sempre spinto a chiederci cosa sia la coscienza, se davvero l'anima esista, e cosa renda un "individuo" un essere umano. Nel 1936, Alan Turing lanciava la sua famosa macchina di Turing con il test che oggi porta il suo nome, chiedendosi: "Può una macchina pensare?"
La risposta, all'epoca, era un intricato "forse". Eppure, Turing non pensava a robot, ma a modelli logico-matematici che, all'epoca, sembravano già in grado di riprodurre, almeno superficialmente, alcuni comportamenti umani.

Jean-Paul Sartre, nel suo Essere e Nulla, esplorava l'idea che l'essere umano è un essere in continuo divenire, contrariamente alla macchina, che è progettata per essere fissa e determinata. La filosofia esistenziale ci ricorda che l'uomo è libero perché può essere consapevole della sua morte, della sua finitezza e della sua impossibilità di prevedere tutto, mentre una macchina non è mai completamente "consapevole" della propria esistenza.

In psicologia, la domanda assume una sfumatura altrettanto profonda: qual è la natura della coscienza? Se un'intelligenza artificiale dovesse, in futuro, sviluppare una consapevolezza di sé, come potrebbe essere riconosciuta da un essere umano? Le neuroscienze, infatti, si trovano ancora a fronteggiare il grande mistero della coscienza umana: il famoso dilemma di "come la materia generi la mente". La psicologia cognitiva ci ha dato strumenti per comprendere come apprendiamo e memorizziamo, ma non ha ancora una risposta definitiva sul mistero di ciò che veramente significa "sentire".

L'interessante contraddizione è che, mentre cerchiamo di ricreare modelli matematici in grado di "pensare" e forse anche "sentire", rischiamo di dimenticarci una delle leggi fondamentali della psicologia: la mente umana è un sistema complesso, irriproducibile in maniera semplice. La mente cosciente non è un oggetto che possiamo prendere e mettere dentro un calcolatore. E quando lo facciamo, rischiamo di dimenticare che siamo intrinsecamente imperfetti, e che forse è proprio in quella imperfezione che risiede il nostro valore.

Filosoficamente, i tentativi di replicare l'uomo con la macchina potrebbero essere visti come una forma di hubris, una sorta di "peccato di superbia". Ma, al contempo, sono anche un riflesso del nostro bisogno di controllo, di prevedibilità e di serenità in un mondo che non ci dà certezze.
Dante avrebbe sicuramente scritto un canto sull'intelligenza artificiale, ma non sappiamo se la macchia sarebbe finita nel Paradiso o all'Inferno. Tuttavia, è probabile che un posto di mezzo, tra il Purgatorio e la Selva Oscura, sarebbe la nostra residenza ideale.

E nel frattempo, potremmo iniziare a chiederci se non sia proprio nella nostra fragilità – e non nella perfezione matematica delle AI – che si cela il senso profondo della nostra esistenza.

Siamo all'inizio di un viaggio che ci vedrà, probabilmente, impegnati a rispondere a domande esistenziali che non avevamo nemmeno immaginato. L'intelligenza artificiale, come un'ombra delle nostre stesse paure e speranze, continuerà a farci riflettere su chi siamo e cosa potremmo diventare. E mentre ci chiediamo se le AI possano mai essere veramente coscienti, forse è il caso di chiederci se, in fondo, quello che stiamo cercando è qualcosa di ben più complesso: il modo in cui noi stessi percepiamo il mondo e gli altri, in tutta la nostra umanità.


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