en-59. Figli e figliastri
La liberazione ed il rimpatrio di Silvia Romano ha creato negli ultimi giorni uno sconquasso che è ormai all'ordine del giorno: in un paese dalle mille tifoserie, degli eterni partigiani della propria verità e i commentatori da bar sotto pressione perché si ritrovano improvvisamente costretti ad un distanziamento sociale innaturale, il web diventa terreno fertile per sfogare rabbie, tensioni, pulsioni represse. Senza panem et circenses, l'italiano medio si lancia sui social per vomitare la sua rabbia repressa sulle persone sbagliate o che comunque non sono la causa principale dei loro mali.
Il caso di Silvia non è l'unico nel suo genere ma solo il piú recente e sottoposto ad una copertura mediatica che, aggiunta al fatto che si trattasse di una dona e per giunta convertita all'Islam, hanno fatto sì che i leoni da tastiera pasteggiassero sulla notizia spargendo fiele. Infatti una cosa sfuggita ai molti che si sono affrettati, anche in sedi istituzionali, ad apostrofare la giovane cooperante come terrorista (tesi sostenuta dal parlamentare del Carroccio Pagano, che ha attaccato il governo perché al funerale di un poliziotto morto per il coronavirus non era presente nessun rappresentante dell'esecutivo, mentre, ha aggiunto, "quando è tornata una neo-terrorista, perché questo è El Shabaab, sono andati ad accoglierla"), nell'ultimo anno e mezzo l'Italia ha liberato tre ostaggi: Alessandro Sandrini, Luca Tacchetto e Sergio Zanotti. Di loro questi benpensanti non conoscono nemmeno i nomi, figuriamoci le storie, i volti, gli indumenti indossati al momento della liberazione e le cifre dei riscatti. Nulla.
Alessandro Sandrini, che in Italia era stato condannato per due rapine a mano armata e che in Turchia vi si era recato non per aiutare i bambini ma per un legittimo viaggio di piacere, «è stato liberato al termine di un'articolata attività condotta in maniera coordinata e sinergica dall'intelligence italiana, dalla polizia giudiziaria e dall'Unità di crisi» dalla Farnesina, come ha commentato a suo tempo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Cioè grazie ad un negoziato, proprio come Silvia. E proprio come Silvia ha deciso di convertirsi all'Islam. Nessuna indignazione ovviamente: occhio non vede, cuore non duole.
Luca Tacchetto, architetto fu rapito e sequestrato durante un viaggio, questa volta in Burkina Faso in compagnia della cittadina Canadese Edith Blais. Venne liberato due mesi fa dopo un anno e mezzo di prigionia, presentandosi a Ciampino con una folta barba e con indumenti non proprio tipici di un cristiano cattolico, apostolico e romano. Perché proprio come Silvia aveva deciso di convertirsi all'Islam. E tra l´altro, anche in questo caso si parlò di riscatto pagato, anche se Italia e Canada negarono di aver mai versato un centesimo. Indignazione? Neanche in questo caso.
Sergio Zanotti, un imprenditore in cerca di fortuna, si recò in Turchia per tentare di acquistare dinari antichi da rivendere in Europa. Anche se le fonti investigative romane lo definirono un sequestro «anomalo», (soprattutto perché risulta mai arrivata una richiesta di riscatto) resto sotto sequestro per tre anni (anche se molti investigatori escludevano che l'uomo fosse finito nelle mani di terroristi dell'Isis), ed è stato liberato grazie a un negoziato, proprio come Silvia Romano. Indignazione? Neanche l'ombra.
In queste tre brevi storie, così diverse l'una dall'altra, vi sono almeno tre elementi comuni: il viaggio realizzato per legittimi interessi privati, l'indifferenza astrale dei cittadini e dei giornali al loro arrivo e il genere sessuale dei protagonisti. Tutti e tre rigorosamente uomini. La pensa cosí anche Susan Dabbous, giornalista freelance. Italo-siriana, che segue da anni le questioni mediorientali. Il 3 aprile 2013 fu rapita dal Fronte al-Nusra, filiale qaedista in Siria, con i colleghi della Rai Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe e Andrea Vignali. Di quegli undici giorni in mano ai rapitori, in un appartamento con la sua carceriera Miriam, ha scritto nel libro Come vuoi morire? edito da Castelvecchi. La Dabbous in una intervista a "il Manifesto" racconta della sua esperienza e può invece aiutare a capire che cosa Silvia ha dovuto vivere per 18 mesi nell´attesa che sia lei stessa a raccontarcela. Ma soprattutto pone l'accento su come il fatto di essere una donna abbia inciso negativamente sul racconto mediatico della liberazione di Silvia.
Ma va anche ricordato e sottolineato a piú riprese che non si ricordano titoli o dichiarazioni simili per la liberazione Alessandro Sandrini, Luca Tacchetto e Sergio Zanotti. Non si ricordano approfondimenti, non si parla dei reati commessi sia in patria che all'estero nel loro caso, non si parla del loro vestiario al momento del rientro in patria. Soprattutto non si controlla in ogni interstizio della loro vita, non si pesano le loro parole con il bilancino né li si insulta di essere dei terroristi, dei fiancheggiatori jihadisti. Il perché è presto detto: sono uomini.
Perché a questo punto è chiaro che la vera colpa che tutti imputano a Silvia Romano è quella di essere una donna libera. Perché mentre di lei si può dire bellamente "restatene a casa" un uomo può decidere autonomamente di andare dove vuole. decidere quale battaglia combattere (come il povero Fabrizio Quattrocchi, di cui si sente tanto parlare perché sarebbe morto "da italiano" invece che piegarsi). Ma invece Silvia e le altre centinaia di ragazze che come lei decidono di partir per aiutare in casa loro quelli che voi vorreste solo vedere morti, sono donne libere. E Silvia è talmente libera da non corrispondere ai canoni e al ruolo da voi immaginato per lei e per le donne come lei. Talmente libera da recarsi in Kenya non per fare un safari o per prendere il sole sulle spiagge di Malindi ma per recarsi in un villaggio poverissimo, privo persino di strade o di prese della corrente, con il solo obiettivo di aiutare il prossimo. Talmente libera da potersi convertire, indossare uno jihad e chiamarsi Aisha.
Che sia una sua per scelta, per imposizione o per semplice collasso psicologico non ci interessa, è una scelta sue e che deve vivere con coerenza e rispetto delle leggi civili. Ma non venite a dirmi che è questo che vi da fastidio, perché siete ipocriti e bugiardi di fronte alle evidente della vostra ennesima doppia morale. Del vostro odio che scambiate per verità assoluta e che indirizzate ogni giorno verso un obiettivo diverso ma mai contro i veri artefici del vostro malessere. Il problema non è Silvia e non è neanche il suo essere donna libera. No, il problema siete voi e il vostro ipocrita perbenismo.