Durante le indagini circa le cause della morte, un testimone dichiarò che Stefano gli aveva detto d'essere stato picchiato; il detenuto Marco Fabrizi chiese di essere messo in cella con lui (che era solo) ma questa richiesta venne negata da un agente che fece con la mano il segno delle percosse; la detenuta Annamaria Costanzo afferma che il giovane le aveva detto di essere stato picchiato, mentre Silvana Cappuccio vide personalmente gli agenti di polizia penitenziaria picchiare Cucchi con violenza. Grazie all'attivismo di Ilaria Cucchi, il caso ha avuto una grande visibilità mediatica, con notevole impatto sulla opinione pubblica italiana, facendo tra l'altro emergere altri casi analoghi di persone morte in carcere senza che la causa del decesso sia ancora accertata. Ovviamente le polemiche maggiori si sono avute in ambito politico, spaccato tra chi difende l'operato dell'arma colpevolizzando Cucchi e la sua famiglia (a cominciare dall'allora sottosegretario di Stato Carlo Giovanardi, che ha dichiarato come Stefano fosse morto per anoressia e tossicodipendenza passando per i vari attacchi alla persona di Ilaria Cucchi fatte da Salvini e altri esponenti della destra), sempre e comunque in difesa dell'Arma e delle forze dell'ordine.
Dopo anni di processi, condanne, assoluzioni, ricorsi in cassazione, il 20 giugno 2018 Francesco Tedesco, uno dei militari rinviati a giudizio nel processo bis aperto nel 2015, presenta alla Procura della Repubblica di Roma una denuncia contro ignoti, nella quale lamenta la scomparsa di un'annotazione di servizio da lui redatta il 22 ottobre 2009 e indirizzata ai suoi superiori, nella quale esponeva i fatti accaduti nella notte fra il 15 e il 16 ottobre precedente. Comandante provinciale di Roma all'epoca dei fatti era il generale Vittorio Tomasone. In particolare, egli descriveva di avere assistito al pestaggio del geometra romano presso la caserma carabinieri di Roma Casilina da parte dei suoi colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, violenza a cui inutilmente aveva cercato di porre fine. A seguito di tale denuncia, la Procura avvia un'indagine affidata allo stesso sostituto procuratore Musarò, il quale iscrive via via nel registro degli indagati ulteriori cinque militari dell'Arma dei carabinieri, Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Massimiliano Colombo Labriola, Nico Blanco e Francesco Di Sano, tutti con l'accusa di falso, per un inquinamento probatorio che aveva ottenuto di sviare i processi verso persone che non avevano alcuna responsabilità (Fonte Wikipedia)