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en- Seattle a Fridays for Future
Il movimento globale Fridays for Future e lo Strike for Climate mi hanno riportato alla mente altri avvenimenti, accaduti quasi 20 anni fa: era il 30 novembre del 1999, a Seattle iniziavano i lavori del WTO (World Trade Organization), i potenti della terra avrebbero discusso di liberalizzazione dei mercati, di nuovi accordi commerciali globali, delle nuove misure da prendere sul clima. Tutti coloro che erano contrari a queste nuove misure, imposte a miliardi di persone da una élite a capo di organizzazioni viste come simbolo del nuovo neocolonialismo occidentali, si ritrovarono a Seattle per urlare la loro rabbia: venivano dall'intero globo, comunicavano su internet ed erano decisi a non cedere a quella deriva liberista. Nacque in quelle strade americane il primo movimento veramente globale dell'era post-Guerra Fredda e il WTO di Seattle fu un fallimento, mentre nasceva il movimento NO-GLOBAL, inizialmente chiamato "il popolo di Seattle"; un movimento che non aveva precedenti per estensione geografica e per eterogeneità.
Da quel momento, gli appuntamenti globali si trasformarono per anni in veri e propri laboratori di protesta civile e anche di scontro fisico, tra il movimento e le autorità costituite che dimostrarono ad ogni incontro di temere la forza che il movimento poteva avere sull'opinione pubblica mondiale. Fino a arrivare al 2001, a Genova, dove gli scontri furono durissimi: la polizia utilizzò sistematicamente la violenza, in maniera esagerata ed ingiustificata (documentato dalla sentenza della Cassazione del 5 luglio 2012, che ha finalmente scritto la parola fine condannando i vertici della polizia coinvolti). Quello che successe a Genova entrò nelle case di tutto il mondo, l'immagine di un gruppo di potenti chiusi nei palazzi e difesi con una violenza cieca dal loro esercito, al quale si opponeva un'armata di cittadini di tutto il mondo, un esercito con le armature fatte di bottiglie di plastica. Immagine che dava la perfetta riproposizione di ciò che era il confronto. Le immagini delle frange violente, i black block, che mettevano a ferro e fuoco la città mentre le forze dell'ordine lasciavano fare e si concentravano nel caricare con violenza inaudita il corteo pacifico dei manifestanti, aprirono dubbi enormi nelle coscienze di tutti. Ci saranno eventi durante questi giorni che resteranno nella cultura comune, nomi di caserme come la Bolzaneto, nomi di scuole come la Diaz, che ancora oggi riconducono tutti alla follia in cui lo Stato italiano si perse in quei giorni. In quei giorni morì una generazione, morirono le sue speranze, in quei giorni morì la forza propulsiva e propositiva del movimento.
In quegli anni è cominciato lo scollamento tra i cittadini e le istituzioni, non viste piú come preposte alla tutela e all'organizzazione del popolo. I no global individuarono nelle organizzazioni sovranazionali e nazionali un nemico da abbattere e da contrastare. Complice la diffusine di internet, gli eredi del popolo di Seattle hanno cominciato a instillare teorie complottiste e paventare scenari apocalittici di violenza e sottomissione da parte di una fantomatica "Élite dominante". D'altro canto, per anni il movimento fu accusato di essere violento, antistorico, di voler andare contro un processo, quello della liberalizzazione del mercato finanziario, quello del grande mercato globale libero da ogni regola, che veniva descritto come naturale, come un progresso inarrestabile della società. Oggi però possiamo vedere i risultati di quelle scelte politiche, che hanno portato ad uno sfruttamento sconsiderato delle risorse e ad un disastro ecologico senza precedenti in nome di un capitalismo deumanizzato e antisociale. Vediamo il sorgere di nuove dittature e vecchi patriottismi, rischiamo lo sfaldamento delle istituzioni che ci hanno permesso di raggiungere questo livello di pace e prosperità (a livello globale, va detto, non c'è mai stato un momento cosí ricco in tecnologie, scolarizzazione ed opportunità nella storia umana).
Oggi abbiamo una nuova possibilità, una nuova coscienza sembra essersi levata dai ragazzi, giovani come potevamo esserlo noi 20 anni fa. Vedo una grande similitudine con i fatti accaduti a Seattle nel 1999 e voglio sperare che questa volta riusciremo a risvegliarci abbastanza da non prestare il fianco alle intimidazioni, a non fari uccidere di nuovo, a non farci togliere il sogno di un pianeta libero, globalizzato e multiculturale certo, ma sicuramente non schiavo di un sistema economico che ci sta portando verso un baratro evolutivo ed un disastro planetario senza precedenti. Ecco perché anche noi, che siamo la generazione del popolo di Seattle, cha abbiamo coltivato (e forse mai smesso di farlo) la speranza di un cambiamento "dal basso", che ci battiamo ogni giorno per quei piccoli ma importanti cambiamenti dello stile di vita che possano modificare in meglio il mondo e scongiurare il disastro, noi dobbiamo sostenere questi giovani e stargli vicino. Perché non abbiamo altra soluzione, perché potrebbe essere la nostra ultima chance e perché sarebbe bello per una volta che le generazioni si incontrassero invece che scontrarsi.
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