13. “Gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi” 

28.03.2020

La nostra mente è senza dubbio una delle più raffinate creazioni della natura, eppure ogni tanto va in "tilt" e ci fa comportare come degli asini totali. E questo è molto pericoloso in una situazione stressante come questa che stiamo vivendo, se consideriamo che poi spesso si ripercuote nella condivisione di Fake News deliranti e di complotti surreali. "Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi" sosteneva il filosofo e saggista britannico Bertrand Russel. Il fatto è che, oggi piú che nel passato, preferiamo spiegazioni corte a quelle lunghe, sempre di fretta, attanagliati dalla paura e dalla necessità di conoscere, comprendere, capire cosa sta accadendo. I complotti piacciono perché mettono ordine nel caos, danno spiegazioni semplici e facilmente comprensibili e soprattutto non ci fanno sentire in balia del vento ma parte di un progetto (non importa se malvagio), creandoci un nemico preciso, identificabile, certo.

E non è solo una questione di titoli di studio: persone con un titolo di studio medio - alto e perfino premi Nobel possono incappare in cantonate colossali (come racconta per esempio Barbascura nel suo libro Il genio non esiste -e a volte è un idiota-). È proprio insito nella nostra natura umana incappare in quelli che gli psicologi chiamano Bias cognitivi, uno schema di deviazione del giudizio che si verifica in presenza di certi presupposti. Quello dei Bias cognitivi è un fenomeno studiato dalla scienza cognitiva e dalla psicologia sociale e sono forme di comportamento mentale evoluto. Alcuni rappresentano forme di adattamento, in quanto portano ad azioni più efficaci in determinati contesti, o permettono di prendere decisioni più velocemente quando maggiormente necessario. Altri invece derivano dalla mancanza di meccanismi mentali adeguati, o dalla errata applicazione di un meccanismo altrimenti positivo in altre circostanze. Mick Odelli in un suo video, spiega che abbiamo diversi Bias cognitivi su cui costruiamo la nostra conoscenza, cose che non mettiamo piú in dubbio ma che ci portano a considerazioni errate.

I Bias cognitivi (codificati in delle tabelle), influenzano la formazione delle convinzioni, le decisioni economiche e commerciali e il comportamento umano in generale. Il piú importante è sicuramente l'effetto Dunnug - Kruger, dal nome dei due scienziati che lo scoprirono nel 1999. Si tratta di una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità auto valutandosi, a torto, esperti in quel campo, mentre, per contro, persone davvero competenti tendono a sminuire o sottovalutare la propria reale competenza. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti. Il nostro cervello predilige la semplicità dei messaggi perché ciò gli consente di conservare in modo efficace l'informazione, mentre i messaggi brevi e semplici da comprendere ci tranquillizzano piú efficacemente di uno spigone di dieci minuti. Se a questo aggiungiamo che molte persone sono già in partenza culturalmente deboli perché incapaci di ribattere in modo non emozionale agli stimoli che ricevono, ecco che il quadro sembra completo. Le persone culturalmente deboli, proprio perché i Bias cognitivi sono parte di ognuno di noi, vanno salvaguardate dalla diffusione di Fake news, come fa notare Dario Bressanini, anche perché proprio in queste persone l´effetto Dunnug - Kruger apre uno spiraglio al dubbio, alla incomprensione, alla sfiducia nella scienza e negli scienziati veri e qualificati. Fino ad arrivare al "paradosso dell'Ignoranza" (che non va inteso come sinonimo di stupidità) che riguarda tutti perché non è possibile per nessuno possedere la conoscenza assoluta di tutto lo scibile umano. 

Se da una parte l'effetto Dunnug - Kruger porta le persone con dei buchi di conoscenza a sentirsi intelligenti e sopravvalutarsi, lo stesso può portare persone molto preparate nel proprio campo a sentirsi inadeguati e fuori posto. Si parla in questo caso di "Sindrome dell'Impostore", un modo informale e non tecnico per definire una strana condizione mentale, quella di chi, avendo ottenuto ampi e ripetuti riconoscimenti del proprio valore e una (meritata) dose di successo, di quel successo si sente indegno o immeritevole. E continua a sentirsi così nonostante ogni oggettiva evidenza contraria. BBC News racconta che soffrono di sindrome dell'impostore scrittori e musicisti, uomini d'affari, professionisti. Le donne, specie quelle che ottengono buoni risultati in ambienti di lavoro prettamente maschili, ne soffrono più degli uomini. Ma nessuno è immune, e anche se il fenomeno è stato identificato per la prima volta negli anni Settanta, gli psicologi dicono che sembra essere sempre più diffuso nel mondo odierno, competitivo ed economicamente insicuro. Il fatto curioso è che conseguire nuovi risultati positivi, guadagnarsi ulteriori riconoscimenti, far carriera o acquisire nuove conoscenze non sembra migliorare lo stato d'animo. Anzi: il senso di inadeguatezza può anche crescere. 

Riccardo Vessa in un suo interessante video (che a sua volta ne commenta uno di Yotobi), sostiene che questo dipenda da quanto una persona si ponga in una posizione eccentrica rispetto a quella che viene considerata "normalità". Chi va controcorrente, chi va oltre il "piano prestabilito" della società, ad ogni livello questa presa di posizione avvenga, carica di attese e di paure. E piú grandi sono i rischi di insuccesso e piú forte il giudizio degli altri (o il peso che gli diamo), piú ci troviamo piú fuori posto. A molti succede di chiedersi "cosa ci faccio qui", sentendosi completamente fuori posto pur sapendo di essere competenti per ricoprire quella mansione. Ma è il conformismo degli altri a farci temere di essere fuori strada, di essere un bluff, che stiamo rischiando troppo. Ma la cosa interessante che fa notare Vessa è che piú si va avanti nel percorso, piú difficile sarà tornare indietro e sarà solo la percezione personale a salvarci da questa paura, da questo senso di inadeguatezza per cui, per usare un suo esempio, tornare a lavare i piatti non sarà una sconfitta se si apprezzerà il percorso che ci ha portato fino a li. Ogni tanto, val la pena di ripercorrere la vostra storia, magari anche scrivendola, e ricordando la fatica, l'impegno (e i fallimenti) che hanno preceduto i successi ottenuti. Anche parlare con le altre persone aiuta. Potreste perfino scoprire che proprio quelle che apprezzate e stimate di più soffrono, a loro volta, della sindrome dell'impostore.

Ma è possibile educarsi a riconoscere i propri Bias cognitivi? Di nuovo Mick Odelli ci da tre suggerimenti:

  • Non è male conoscere nuove cose ed imparare. Non sei tenuto a sapere tutto anzi, capire cosa non capiamo è il primo passo per perfezionarsi;
  • Usa alternative alla comparazione con gli altri. Cerca un mentore, qualcuno che possa accelerare l'apprendimento. Se mi viene spiegato come fare, riesco a superare facilmente l'errore;
  • Focalizzati su un task specifico invece che sulle abilità generiche in modo da poter individuare meglio dove sbagli.

"E se stai pensando a quanto vorresti che quella persona si rendesse conto di avere questo Bias, considera che il senso di questo concetto è che tu lo usi su te stesso, non sugli altri. Da piú fastidio? Certo, ma lo sforzo genera apprendimento automatico."