48. L’ipocrisia italiana sulla prostituzione 

02.05.2020

La legge 20 febbraio 1958, n. 75 è una legge della Repubblica Italiana, nota come legge Merlin, dal nome della promotrice nonché prima firmataria della norma, la senatrice Lina Merlin. Essa abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Sulla scia dell'attivista francese ed ex prostituta Marthe Richard, (sotto la cui spinta nel 1946 erano state chiuse le case di tolleranza in Francia), la senatrice voleva ridare dignità alle donne, seguendo anche il principio di eguaglianza di diritti tra i cittadini, compreso quello della salute. L'avvenimento, che segnò un cambiamento nel costume e nella cultura dell'Italia moderna, venne visto da alcuni come una svolta positiva, da altri col timore di alcune conseguenze quali gravi epidemie di malattie veneree e il dilagare delle prostitute nelle strade delle città, cosa che in effetti avvenne. 

La legge Merlin non cancellò la prostituzione, che restò legale (se volontaria e compiuta da donne e uomini maggiorenni e non sfruttati), in quanto considerata parte delle scelte individuali garantite dalla Costituzione, come parte della libertà personale inviolabile (articolo 2 e articolo 13). L'effetto fu anzi quello di consegnare un comparto fino ad allora gestito dallo Stato in mano alla criminalità organizzata che, da allora, ne trae enormi benefici. Quello che era nelle intenzioni della Merlin un atto di eguaglianza e liberazione della donna fu non solo una grande intromissione dello Stato in un aspetto morale personale del singolo cittadino, che portò alla criminalizzazione delle prostitute, ad una progressiva emarginazione sociale delle prostitute e ad una piú forte sfruttamento delle stesse. Inoltre, con il passare degli anni, favorì enormemente il fenomeno della "tratta delle schiave", donne costrette a prostituirsi per poter sopravvivere 

Pur essendo l'argomento per sua natura scabroso, e perciò improponibile sui mezzi di informazione dell'Italia degli anni cinquanta, nel Parlamento e nella società si creò una spaccatura trasversale tra coloro che sostenevano l'opinione della Merlin, tra cui molti esponenti di area cattolica, e molti altri che invece opposero un atteggiamento di rifiuto totale e categorico. E ancora oggi l'opinione pubblica italiana si divide tra favorevoli e contrari alla regolamentazione. Ma mentre i favorevoli si concentrano piú su questioni di ordine pratico, i contrari affrontano la questione da un punto di vista morale, e in definitiva le due posizioni si scontrano su terreni completamente opposti. Per questo è impossibile raggiungere una sintesi che veda una soluzione al dilemma.

Il dibattito si trascina ormai da anni in Italia, con risultati sterili e inefficaci. La prostituzione resta non regolamentata e le mafie, non solo quelle italiane, ne traggono enormi benefici economici. Per non parlare del fatto che la prostituzione si è solo spostata dalle case alle strade, influendo pesantemente non solo sul decoro di alcune zone ma, soprattutto, sulla proliferazione del fenomeno. Negli anni novanta, soprattutto, si è sviluppato il fenomeno della prostituzione legata all'immigrazione clandestina, esploso poi negli ultimi anni: la gran parte delle prostitute in strada sono infatti straniere. Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, e i lauti guadagni del loro sfruttamento, è passato sotto il controllo delle mafie italiane e dei loro Paesi d'origine, sempre più presenti queste ultime sul territorio italiano. Queste nuove schiave, legate al traffico di esseri umani, sono oggi, di fatto, un problema irrisolto che ripropone con urgenza il ripensamento di tutte le leggi in questo campo, a cominciare dalla stessa legge Merlin. 

La normativa internazionale non considerava più la prostituzione volontaria come attività non dignitosa, e alcune organizzazioni per i diritti umani si sono schierate per la decriminalizzazione, ascoltando anche le esperienze e le istanze delle associazioni di persone che svolgono lavoro sessuale. Le stesse Nazioni Unite hanno emesso alcune dichiarazioni - in deroga alla Convenzione del 1949 che raccomandava la proibizione della prostituzione organizzata in sé - a tutela della sicurezza dei sex workers volontari. Nel dicembre 2012 il programma congiunto delle Nazioni Unite sull'Hiv/AIDS ha pubblicato un documento sulla Prevenzione e trattamento dell'HIV e di altre infezioni a trasmissione sessuale per i lavoratori sessuali nei paesi a basso e medio reddito in cui sono contenute le seguenti raccomandazioni e buone pratiche:

  1. Tutti i paesi dovrebbero impegnarsi verso una depenalizzazione del lavoro sessuale e l'eliminazione dell'applicazione ingiusta di leggi e regolamenti non penali contro i lavoratori del sesso.
  2. I governi dovrebbero stabilire leggi antidiscriminatorie e che ne favoriscano i pieni diritti civili, contro ogni forma di discriminazione e violenza, al fine di realizzare l'attuazione dei diritti umani e ridurre nei soggetti coinvolti la vulnerabilità all'infezione da HIV e l'impatto dell'AIDS nei paesi in via di sviluppo. Le leggi e regolamentazioni dovrebbero garantire il diritto ai servizi sanitari e finanziari sociali.
  3. I servizi sanitari dovrebbero essere disponibili e accessibili ai lavoratori sessuali sulla base del principio riguardante il diritto alla salute.
  4. La violenza contro le prostitute è un fattore di rischio e dev'essere prevenuto e affrontato in collaborazione con i soggetti coinvolti.

Secondo l'ONU, sulla base di ciò, la prostituzione volontaria di persone adulte potrebbe essere tollerata e legalizzata, se non si figura come una tratta schiavistica (la quale era l'obiettivo della Convenzione) ma come una scelta professionale. 

Molti sostengono che la regolamentazione della prostituzione non risolve completamente il problema della tratta e dello sfruttamento e su questo possiamo essere d'accordo visti i casi emersi in diversi paesi, tra cui la Germania. Ma porterebbe per esempio ad un risparmio di tempo e risorse per la polizia e il sistema giudiziario (immaginiamo per esempio ai pattugliamenti di certe zone, agli arresti, agli incarceramenti e i giudizi che verrebbero evitati, oltre al rispristino del decoro di alcune zone delle citta). Risorse che potrebbero essere usate meglio e per contrastare i reati veri e piú incisivi. Combattere un fenomeno che è impossibile da eliminare perché fortemente radicato nella nostra società oltre ad essere un costo, è anche improduttivo per lo Stato, mentre si foraggiano organizzazioni criminali che su quel business ci investono (in Italia Codacons stimava nel 2018 che valga 4 miliardi di euro) senza tra l´altro dare protezione e tutele a chi svolge quella professione. Continuare ad illudersi che la Prostituzione cesserà solo perché proibita, è come pensare di proteggersi dalla pioggia con un ombrellino di carta.

Inoltre, è un comportamento davvero ipocrita, specie se pensiamo che in Italia sempre secondo la Codacons, si stima esistano 90 mila operatrici del sesso. Se è vero quindi che è la domanda a fare l'offerta, un cosí alto numero indica che gli italiani non disdegnano certo le prestazioni sessuali a pagamento. E il fatto che diversi politici, anche in seno a formazioni conservatrici e cattoliche, siano stati coinvolti in scandali legati in qualche modo alla prostituzione, fa intuire come forse la presa di posizione proibizionista di alcuni tra quelli che volgono mantenere lo status quo, nasconda ben altro dietro una moralizzazione che in realtá è solo di facciata. Poche formazioni politiche infatti sono o sono state disposte a mettersi contro quei cattolici puritani che, per dirla con un eufemismo, nascondono la polvere delle loro perversioni sotto il tappeto del perbenismo. Per non parlare di quelli che dietro le loro posizioni conservatrici nascondono interessi personali o non vogliono semplicemente rischiare di inimicarsi la criminalità organizzata, che purtroppo sappiamo bene essere in alcuni ambiti collegata alla politica da tempo e con legami strettissimi.