60. L’odio rende schiavi
Il 4 marzo 1933 Franklin D. Roosevelt pronuncia una frase che resterà emblema di tutta la sua lunga presidenza americana: «L'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa». In quegli anni gli Stati Uniti erano attanagliati dalla paura. Quella più terribile, perfino più della malattia e della morte: la paura della povertà, della disoccupazione, di non poter mantenere la propria famiglia, di finire sulla strada. La Grande Depressione è stata una depressione che ha imperversato in tutto il mondo, ma non è solo dell'economia: è anche una depressione dell'anima. Vai talmente giù da avere la netta sensazione di non possedere né forze né risorse per tornare su. La paura diventa tangibile. Si vede, si respira, si tocca, si mangia. Imprigiona e paralizza. È questa la paura che faceva paura a Roosevelt, perché è l'unica paura che non lascia scampo e da cui non c'è salvezza: una dannazione senza redenzione.
Oggi, a quasi cento anni da quell´importante e decisivo discorso, viviamo anche noi tempi difficili, di paura e tensione, di depressione non solo economica ma anche mentale, fisica perché imprigionati nelle nostre case sovraffollate di oggetti ma, soprattutto, ingabbiati nelle nostre idee, preconcetti, timori, sopraffatti dalla paura tangibile, oggi come allora, della povertà, della miseria, del regresso, terrorizzati dalla perdita dei nostri privilegi, traditi da un sistema economico che non ci ha fatto evolvere come umanità ma che ha anzi creato una "classe di privilegiati" (noi di quello che si chiamava un tempo "primo Mondo") che adesso si sentono in pericolo.
Già, è questo quello che mi sembra di vedere leggendo i post social di tante persone. Persone rispettabilissime, grandi lavoratori, ma attanagliati dalla paura. Legittimo terrore di non riuscire piú a sopravvivere, paura di una invasione che verrà, chissà da dove e da parte di chi, ma che viene sbandierata da politici scellerati e media compiacenti che fanno il contrario di quel che Roosevelt fece nel 1933: cavalcano lo scontento per creare panico e raccogliere consensi. E questa paura che circola ormai nelle vene del popolo si sta trasformando in qualcosa di molto pericoloso, in un sentimento che distrugge e che crea divisioni e morte e distruzione: l'odio.
Sui social, sempre più spesso, si assiste a dei veri e propri linciaggi simbolici: ci si accanisce e ci si scanna reciprocamente, ci si odia e ci si insulta. È come se il "branco", data la possibilità di esprimersi liberamente, coagulasse nel giro di poche ore tutta una serie di persone che, prese singolarmente, sono magari pure docili e tranquille. Ma, una volta sui social, la logica del branco le trasforma in aguzzini incapaci di dialogare, incapaci persino di renderci conto degli orrori che proferiscono, lapidando senza pietà chiunque si trovi sul proprio cammino. Senza quasi rendersene conto, gli agnellini si trasformano in lupi dando sfogo, spesso sulle persone e le situazioni sbagliate, alle loro personali frustrazioni. Come racconta per esempio in una intervista su Repubblica una donna, che aveva pesantemente insultato l´ex presidente della Camera Laura Boldrini: "Non lo so nemmeno io, sarà stata la rabbia per come mi sento quando torno dal lavoro. Non volevo offendere lei, era un insulto a tutti. Ero stanca, dopo una giornata in campagna, ho visto qualcosa che mi ha fatto pensare alle ingiustizie, ma non ce l'ho con lei, manco la conosco di persona, come faccio a giudicare? L'ho spiegato, è stata ignoranza".
Umberto Eco nel suo splendido libro "Il cimitero di Praga", dice che "Occorre un nemico per dare al popolo una speranza. Qualcuno ha detto che il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie: chi non ha principi morali si avvolge di solito in una bandiera, e i bastardi si richiamano sempre alla purezza della loro razza. L'identità nazionale è l'ultima risorsa dei diseredati. Ora il senso dell'identità si fonda sull'odio, sull'odio per chi non è identico. Bisogna coltivare l'odio come passione civile. Il nemico è l'amico dei popoli. Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L'odio è la vera passione primordiale. È l'amore che è una situazione anomala. Per questo Cristo è stato ucciso: parlava contro natura. Non si ama qualcuno per tutta la vita, da questa speranza impossibile nascono adulterio, matricidio, tradimento dell'amico... Invece si può odiare qualcuno per tutta la vita. Purché sia sempre là a rinfocolare il nostro odio. L'odio riscalda il cuore." E mai come in questo momento, questo è evidente.
È evidente come i social siano diventati la nostra valvola di sfogo e il calderone dentro cui gettiamo tutte le nostre energie e profondiamo i piú grandi sforzi. Anche chi vi scrive fa una grande fatica, spesso soccombendo, per non odiare, per non diventare saccente, pesante, odioso. Faccio una grande fatica a non rispondere alle provocazioni, ad accettare un confronto, ad andare contro un pregiudizio che mi fa vedere nell'altro un nemico e non un antagonista. Ma la soluzione non è abbandonare l'arena del confronto ma cercare di cambiare atteggiamento. Tutti, a partire da chi si propone come pacere. Disinnescare l'odio o quantomeno provarci. Perché l'odio è il prologo della violenza e con i tempi che si profilano, fatti di ulteriore miseria e rabbia, dobbiamo cercare di comprendere come direzionare tutte queste energie e cercare di creare delle alternative.
Il filosofo Giambattista Vico affermava che la storia è fatta di flussi e riflussi storici. Ma non bisogna essere un grande filosofo per comprendere che certe analogie, certi modi di pensare e vedere le cose, certi meccanismi umani, restano gli stessi. Se ci pensate bene è anche normale. Ci sentiamo cosí lontani dai nostri avi, da quei nonni di cui spesso prendiamo le distanze perché violenti, retrogradi, maschilisti, ignoranti. Ma stiamo parlando di una manciata di anni fa rispetto alla nostra lunga storia evolutiva come specie. E laddove ci doveva essere istruzione, tecnologia, conoscenza, abbiamo invece ignoranza dei fatti, incapacità parziale o assoluta di discernimento, mancanza pressocché totale di senso critico e odio che monta. Eppure, oggi siamo nell'era della informazione, dove tutto ci viene messo a disposizione, ma siamo come dei bambini in una biblioteca: abbiamo tutto il sapere a nostra disposizione ma ci mettiamo a scarabocchiare sulle pagine dei libri. Per poi uscire e urlare a tutto il mondo la nostra frustrazione per non sapere come e cosa fare per cambiare la nostra situazione.
E odiamo, odiamo tutto e tutti, creiamo e crediamo nei complotti, ascoltiamo le voci di chi non porta un solo straccio di prova ma crea connessioni assurde tra fatti completamente inventati e ci rivoltiamo contro quelli che cercando di farci ragionare, che ci dicono "ok, siediti e parliamone con calma"; perché ormai abbiamo talmente tanto odio e rabbia nel corpo da non voler sentire ragioni. Siamo drogati di odio perché ci fa sentire vivi, utili, da una forma al caos, ci rende piú "semplice" l'esistenza credere che ci sia un colpevole che sia non solo facilmente individuabile ma soprattutto diverso da noi. Un auto assolversi che se da una parte ci estranea, dall'altro cementa il branco. E così anche papa Francesco diviene per assurdo bersaglio dell'odio dei suoi stessi seguaci, al centro di un complotto che lo dipinge come l'Anticristo solo per i suoi discorsi di pacificazione e accettazione del diverso.
E proprio con una frase di Francesco, uomo che può definirsi di pace, voglio lasciarvi, nella speranza che tutti possiamo cambiare atteggiamento e abbandonare l'odio che ci attanaglia: "Chi costruisce muri ne resta prigioniero".