Le scorciatoie non esistono

18.08.2019

Secondo Wikipedia, "l'etica è una branca della filosofia che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale (ad esempio una data morale). È sia un insieme di norme e di valori che regolano il comportamento dell'uomo in relazione agli altri, sia un criterio che permette all'uomo di giudicare i comportamenti, propri e altrui, rispetto al bene e al male." Negli ultimi due secoli poi, con il filosofo Karl Marx, si è arrivato a parlare di etica del lavoro: a partire da allora e dai concetti di alienazione nel e dal lavoro, è stato definito etico il lavoro che offre al soggetto la possibilità di esprimere la propria personalità in quello che fa lavorando. Ma negli ultimi anni sembra che questo concetto sia stato accantonato a favore di comportamenti non etici e che si stanno mostrando dannosi per la società ed il nostro mondo.

Vorrei riportare una considerazione fatta qualche tempo fa con una persona, ricercatore plurilaureato, circa quella che è l'etica nell'arte. Il concetto è molto semplice: le scorciatoie non esistono. Non esistono altre vie se non la formazione, lo studio e la costante ricerca per arrivare a creare contenuti di qualità. È un concetto che si è perso negli ultimi anni, sostituito dal mito del "tutti possono fare tutto" che sta rovinando il mondo dell'arte e della cultura in generale.

Tutto è cominciato con i vari talent show, da Amici a X Factor, che hanno infuso nella cultura pop la convinzione che se hai un po' di talento puoi arrivare al successo. Laddove prima c'erano impegno, piccoli pub, prove, personalizzazioni, stili e contaminazioni, adesso ci ritroviamo ragazzini che aspirano a diventare grandi artisti partendo spesso da preparazioni basiche e soprattutto saltando la necessaria gavetta che ogni artista deve fare per poter emergere. Una gavetta che è studio e dedizione, imprescindibile dalla crescita del messaggio (e se non c'è messaggio non c'è cultura, e allora meglio starsene zitti). Insomma, questi programmi ti promettono che, prendendo una scorciatoia, puoi arrivare nell'olimpo della musica dove stanno i grandi artisti. Ma perché è successo tutto questo? Molto semplice: le grandi case discografiche hanno cominciato ad inseguire solo l'utile facile, impauriti da flessioni di vendite e cali di interesse. Inoltre, secondo il musicologo Enrico Pietra, i Talent show "sono il sottoprodotto di un disegno ben preciso, di un business plan progettato dalle major discografiche sopra un fertile terreno di ignoranza e cervelli docilmente plasmati. Con accordi contrattuali disgraziati, firmati sull'onda della frenesia, gli artisti nascenti perdono da subito il controllo delle proprie edizioni e in definitiva della propria carriera; inoltre, investendo esclusivamente sugli interpreti, quelli che hanno qualcosa da dire, gli autori, vengono automaticamente spostati nell'ombra, troncando sul nascere personalità potenzialmente ingombranti e quindi disturbatrici dell'establishment."

Un discorso simile si può fare per l'editoria. Kindle e l'ebook hanno sicuramente aiutato a diffondere e rendere piú fruibile l'accesso alla lettura a molte piú persone, sia come lettori che come scrittori. Io stesso oltre ad aver pubblicato su questi supporti, ne sono un fruitore. Perché è pratico, perché è economico, perché è ecologico e perché mi permette di avere in poco spazio una libreria importante ed una miniera di informazioni che occuperebbe fisicamente uno spazio che non ho. Certo non è come avere i bei cari vecchi libri (anche se non smetterò mai di comprarli, aspetto solo di avere piú spazio), ma in certi casi la tecnologia può essere di aiuto, a patto di saperla usare. Parlando da autore, noto anche qui la mancanza di una etica della formazione, dell'impegno, della ricerca della perfezione. Senza spesso avere le basi necessarie per scrivere, molti hanno riversato su kindle terabite di file inutili, sgrammaticati, privi di senso, che ingolfano il sistema e non permettono a chi lo meriterebbe, di emergere. E questo è uno spreco, perché si utilizza un sistema cosí inclusivo e potenzialmente positivo in modo pessimo e sicuramente deleterio per tutti. In "Manuale di conversazione elementare con un autore che ha pubblicato un libro a pagamento", un post purtroppo non piú disponibile del blog di Michela Murgia, la scrittrice si rivolge a chi, cedendo alle lusinghe di personaggio senza scrupoli, pubblica a pagamento. "Tutti hanno diritto di scrivere, ma non esiste il diritto di pubblicare, perché pubblicare è un mestiere con delle regole e dei passaggi di verifica della qualità del lavoro. Pubblicando a pagamento tu li hai saltati: il risultato finale non è una pubblicazione, ma una stampa. Anche se ha il codice ISBN". Posso dire che ciò accade anche su Kindle, anche se le modalità sono leggermente diverse, ma se manca il processo di selezione, limatura, miglioramento del testo, hai solo prodotto un oggetto con il tuo nome, non un vero e proprio libro. Ciò non toglie che, secondo me, Kindle rivoluzionerà il mondo della lettura, a patto di essere usato bene e con criterio.

Il punto è: come se ne esce? Come si può tornare a creare cultura ma soprattutto a fruirne in modo consapevole e soprattutto qualitativamente alto? Beh, basta restare curiosi, aperti ma anche molto critici. Recuperare il buon gusto, una sorta di "riabilitazione gustativa" basata sulla conoscenza dei grandi classici, dei grandi autori, della qualità. "Sta" conclude nel suo articolo Enrico Pietra "nel comprendere che la musica è un dono meraviglioso e merita rispetto. Non può essere relegata al ruolo di tappezzeria. Spegnere la televisione e uscire ad ascoltare un concerto vero. Provare a innamorarsi di chi ha il coraggio di sostenere un'idea, anche non conforme alla propria. Tornare ad acquistare dischi, per provare il piacere dell'oggetto, del valore multipolare dell'opera. Se la musica si scarica, rispettare il diritto d'autore e pagarla, perché dietro a un lavoro ci sono mesi di fatica e battaglie, alti e bassi di creatività ed entusiasmo". Bisogna reintrodurre lo "Sbarramento all'ingresso", che permetteva una maggiore è più severa selezione dei contenuti, non tanto (e non solo) nelle idee espresse ma nei modi. Uno sbarramento che è sempre stato fatto dalle case editrici e discografiche serie. Che saranno pure viste come il male, i giganti cattivi che rifiutano opere d'arte per pura cecità, ma in realtà sono sempre state un filtro. Viziato in parte, certo. Ma un filtro di qualità. Di livello anche minimo. Il che non vuol dire chiudere le porte alla tecnologia o al self publishing ma renderli piú selettivi e di qualità.

Una cosa che ho imparato grazie a persone che sanno cosa voglia dire la vera formazione ed i veri sacrifici, è che la via migliore per raggiungere il successo (qualsiasi cosa esso sia), passa non solo per l'esposizione di idee ma anche attraverso la forma in cui queste vengono espresse. E per migliorare la forma non si può fare altro che apprendere, studiare, ricercare. Il fatto che personaggi ambigui (certi conduttori tv, certi personaggi gossippari, certi youtubers discutibili, certi "influencer") abbiano l'accesso all'editoria solo per questioni di visibilità senza fare alcuno sforzo per proporre un buon prodotto, mi fa rabbia. in questi tempi disgraziati in cui tutti fanno tutto, bisogna recuperare l'umiltà di Socrate espressa in quel "so di non sapere", rivolgersi a chi detiene le informazioni, a chi ha studiato e può aiutarci a migliorare. Perché il talento da solo non basta. Bisogna recuperare l'etica del lavoro, il piacere e la responsabilità di produrre qualità e soprattutto, toglierci dalla testa l'idea che basti avere abbastanza visibilità e una idea anche buona ma scritta grossolanamente su un supporto qualsiasi per poter essere qualcuno.

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