50. Legalizzala!
Nel corso della trasmissione televisiva "L'Italia in diretta" di Alda D'Eusanio del 28 dicembre 1995, Marco Pannella, leader dei Radicali, consegnò alla conduttrice un particolare "regalo": un pacchetto contenente circa 200 grammi di hashish. Grazie anche a questo gesto plateale, il referendum su proposta popolare per la legalizzazione delle droghe leggere, riuscì a superare le 500 mila firme necessarie per la sua indizione. La "bravata" però costò cara al il leader radicale, che venne processato con l'accusa di spaccio e di istigazione a delinquere. Fortunatamente, venne assolto in appello nel giugno del 2001.
Pannella è solo il piú noto degli attivisti per la legalizzazione delle droghe leggere, che da anni vede scontrarsi nel nostro Paese favorevoli e contrari. I paladini di questa battaglia sono sempre stati i Radicali, che hanno piú volte presentato disegni di legge prontamente sempre rigettate dal parlamento, nonostante in Italia negli anni il fronte dei favorevoli sia sempre andato crescendo. Anche in questi anni recenti in cui molti paesi si aprono alla liberalizzazione e regolamentazione dell'uso di cannabis, prima solo a scopo medico e via via sempre piú anche a scopo ricreativo. Ma in Italia negli ultimi tempo una certa parte politica ha riportato in auge il fronte proibizionista (anche se solo a scopo meramente propagandistico) segnando un ritorno ad antiche idee ormai ampiamente superate dalla storia e dalla scienza.
In Italia la vendita della cosiddetta cannabis light è regolata da una legge del 2016 e si basa su un principio base: è ammesso il commercio di prodotti a base di canapa purché il loro contenuto di Thc (vale a dire la sostanza che dà effetti psicotropi) sia inferiore allo 0,6%. Discorso a parte riguarda la marijuana terapeutica, che può essere venduta solo dietro prescrizione medica. Per fare un paragone, uno spinello contiene all'incirca il 5-8% di Thc. Il fenomeno legale della cannabis light ha visto l'apertura di un migliaio di nuove partite IVA e l'apertura di almeno 2000 aziende agricole, spesso a conduzione giovanile, dimostrando non solo che è possibile regolamentare un settore che, secondo la Direzione nazionale antimafia vale 30 miliardi all'anno. Ma soprattutto che i danni paventati da politici benpensanti (Giovanardi da anni si è fatto paladino di una posizione contraria paventando chissà quali catastrofi), sono pura e semplice battaglia ideologica. Che finisce per spingere sempre piú gente tra le braccia della criminalità.
Criminalità che ringrazia: i profitti che ogni anno ricavano dalla vendita illegale di droghe, sempre secondo l'Antimafia, verrebbero reinvestiti - riciclati - in buona parte in attività economiche legali. I narcotrafficanti sono già oggi tra i maggiori azionisti dell'economia lecita che opera alla luce del sole. 30 miliardi è quanto vale l'intera produzione agricola nazionale, e quasi la metà dell'intera filiera del settore automobilistico italiano. Questo significa che le mafie investono nel mercato legale, mettendo a rischio la concorrenza e gli assetti stessi delle democrazie liberali. Quello che non si riesce a comprendere dei proibizionisti è se si rendano conto o meno del grande danno che creano con la loro posizione. Non è colpendo il piccolo consumatore che si combatte la criminalità ma attraverso campagne di sensibilizzazione e controllo. Soprattutto bisogna in un certo senso "entrare in concorrenza" con le mafie e controllare un settore che comunque esiste e che ingenera introiti che è meglio entrino nelle casse dello Stato piuttosto che in quelle della malavita.
In un momento di fragilità come quello che stiamo attraversando, con le borse a picco, è il momento di cominciare a ragionare seriamente sulla legalizzazione e regolamentazione dell'uso delle droghe leggere, proprio per togliere ossigeno economico alle mafie. Certo, questo non vuol dire togliere dalle loro mani tutto il business, ma già riuscire a diminuirlo in nostro favore sarebbe un grosso risultato. Anche perché in questo momento in cui la nostra economia diviene fragile ed esposta a tempeste finanziarie, il rischio è quello di ritrovarci in un sistema nel quale i beni e i servizi che acquisteremo, i supermercati dove andremo ogni giorno, i ristoranti in cui ceneremo, il lavoro che avremo, rischiano di finire in gran parte in mano ad associazioni criminali. La cannabis è la sostanza stupefacente meno pericolosa, e il suo uso massivo - sono almeno sei milioni gli italiani che la consumano - è paragonabile ad alcol e tabacco.
Legalizzare la Cannabis sarebbe in questo momento storico un atto di buon senso. Ma mentre in tutto il mondo si discute nel merito delle proposte, analizzando i dati di ciò che sta accadendo con le legalizzazioni in USA e Canada, da noi ogni argomentazione è bloccata da una destra retrograda, che continua a ripetere gli stessi slogan che andavano di moda in America negli anni '30. "La cannabis è la porta di ingresso alle altre droghe" o "fa i buchi nel cervello". Mentre nel resto del mondo si parla di dati e studi scientifici, noi ci affidiamo alle intemerate analisi politiche di Gasparri ("E' un attentato alla Costituzione", disse del tentativo di regolamentare la canapa a basso contenuto di THC), o alle uscite di Salvini ("No allo stato spacciatore"). Un'oscurantista caccia alle streghe che si traduce in una crociata moderna che vede una sola vittima: noi cittadini.
Le stime sono differenti, trattandosi di un fenomeno sommerso, ma dalla legalizzazione avremmo un gettito fiscale di almeno tre miliardi di euro annui (come riferito dal Prof. Marco Rossi, ricercatore di Economia politica presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", uno dei maggiori esperti in materia, in commissione Giustizia alla Camera solo poche settimane fa). Alle entrate fiscali derivanti dalla riscossione delle imposte sulle vendite, andrebbero aggiunte le entrate fiscali derivante dalle imposte sul reddito degli addetti al settore (sempre secondo le stime del prof. Rossi sarebbe di circa 1,5 miliardi annui il gettito Irpef per l'impiego di circa 350 mila lavoratori tra stagionali e personale di coffee shop). Senza considerare i 600 milioni annui risparmiati tra arresti, incarcerazioni, processi. Infatti, la cannabis, pur essendo la droga piú leggera è anche la piú perseguita e riguarda ben il 96% dei sequestri, mentre cocaina e altre droghe davvero pericolose crescono nel loro consumo.
Anche perché il mondo civile aspetta da anni una legge in merito ed anche la Cassazione, in una sentenza depositata ad aprile, afferma che "le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica destinate ad uso personale" non costituiscono reato. Questa sentenza di fatto depenalizza la coltivazione di cannabis per uso personale, considerandola alla pari della detenzione per uso personale come un semplice illecito amministrativo, e indica la necessità di cambiare l'articolo 73 del Testo Unico sulle droghe. Forse è il caso di approfittare di questo momento storico per svecchiare il nostro Paese e dare un colpo deciso alla illegalità.